21 ott 2016 – È passato poco meno di un mese dall’Eroica e già si pensa alla prossima edizione, in giro per il mondo, oppure quella italiana di primavera, prima di quella classica di ottobre. In Italia c’è voglia di ciclismo vintage. Basta contare le ciclostoriche presenti sul calendario per trovarne più delle settimane a disposizione: troppe.
È il momento che questo tipo di manifestazioni in Italia compiano un salto di qualità se vogliono trasformarsi in qualcosa di più di un raduno ciclistico, bello sì, ma di carattere fortemente e spesso poco conosciute e con organizzatori che difficilmente rientrano di quanto investono.
Il fenomeno è cresciuto negli anni. Sulla scia dell’Eroica sono nate altre manifestazioni diverse e simili tra loro. Alcune azzeccate, altre zoppicanti; per tutte c’è la passione ad animarle ma non basta, ci vuole un’organizzazione.
È così che era nato il Giro d’Italia d’Epoca. Un coordinamento di manifestazioni con un obiettivo comune: dare un’impronta di qualità ai diversi eventi e una programmazione sensata.
Ora c’è un po’ di confusione nell’aria. Si è arrivati al punto di saturazione, che non è solo quello in cui ci si rende conto che le oltre 50 manifestazioni presenti (solo in Italia) – ma poi diventate anche di più – sono troppe, ma anche interrogarsi su cosa sia una manifestazione d’epoca e a chi si rivolge. Per vedere se ne vale la pena.
La passione per il vintage riguarda tutti i settori e la scia fortunata dell’Eroica ha portato la bicicletta a diventare stile e modo di essere anche al di fuori della bicicletta stessa. Al tempo stesso il richiamo al ciclismo che fu, quello eroico appunto, piace molto perché è diventato un modo di vivere ed anche di riscoprire certi valori che vanno dall’esaltazione della volontà di chi pedala con le difficoltà di un tempo (per tipologia di biciclette e percorsi) al gusto di riscoprire delle biciclette da mettere a punto pezzo per pezzo, magari facendo anche una ricerca storica e recuperando il modo di pedalare dei padri e dei nonni.
Poi, ovviamente, c’è il piacere di incontrare, prima ancora di pedalarci assieme, persone con cui si condividono storia e stessa passione. Così come è bello veder coinvolgere ragazzi e ragazze che si lasciano affascinare da un mondo che sembra vivere un po’ al di fuori di tutto.
Chi partecipa alle ciclostoriche non è solo l’appassionato di vintage, ma un amante della bicicletta in senso ampio. Quante volte abbiamo sentito le aziende snobbare le ciclismo storico perché “noi vendiamo biciclette in carbonio”, nella miopia di non accorgersi che la maggior parte di quelli con la bici d’acciaio e i fili di fuori poi, in garage, hanno anche una bicicletta in fibra di carbonio che usano molto di più. Per molti marchi, anzi, le ciclostoriche sarebbero il sottolineare lo spessore del proprio lavoro, tanto più se hanno una storia alle spalle e in Italia basterebbe pescare a caso.
Ma il mercato delle ciclostoriche è anche, e forse soprattutto, quello del turismo e del territorio dove si svolgono. L’Eroica è diventata grande anche per questo. Vero che si svolge in una zona, il Chianti, già conosciuta in tutto il mondo, ma è stato proprio il mobilitare il territorio che è stato la sua fortuna, oltre che un’ottima comunicazione dell’evento. Di posti bellissimi e “fertili” in questo senso l’Italia è piena e organizzare delle ciclostoriche che rimangono confinate in se stesse, come evento in maschera, significa limitarne le potenzialità e non esporle alla curiosità di altri che magari di bicicletta nemmeno si interessano ma che potrebbero apprezzarne la bellezza e il significato culturale. Chiaro che non è facile in tutti i territori, alcuni sono meno fortunati di altri, ma di troppe manifestazioni rimane il ricordo di un “vorrei ma non posso” come certe granfondo che parlano solo di un risultato agonistico da festa del campanile. E puntare a stare in piedi solo con il contributo delle iscrizioni non porta troppo lontano. D’altra parte sarebbe anche sfruttare male le proprie potenzialità. Chi viene su un territorio, richiamato dall’evento, poi scopre pure quel territorio e, se proposto nel modo giusto, ci torna e sparge la voce. Non solo per pedalare quindi, una visibilità a 360 gradi che è un bottino da sfruttare. Per fare il salto di qualità, insomma, bisogna rivolgersi al territorio. Non a caso anche L’Eroica, corteggiata in tutto il mondo, è ambita anche in altre parti d’Italia. Ora è anche un nome importante e riconosciuto, certo, ma chi vuole promuovere un territorio vede in questo evento un esempio per fare le cose con uno stile inconfondibile.
Ecco: stile, quello che contraddistingue le cose di alto livello. Ogni evento ha la sua dignità ma occorrerà selezionare le manifestazioni di qualità da quelle a carattere più locale e regolarsi di conseguenza. Un circuito di manifestazioni di alto livello diventa appetibile anche per chi vuole investire (e, come detto, non si parla solo di aziende del settore). Perché nella qualità è compresa anche una comunicazione di alto livello, altrimenti ci si perde a guardare il dito invece che la Luna.
Con il ciclismo storico il salto di qualità si può fare eccome. C’è voglia di riscoperta del territorio e delle sue bellezze. E in Italia ci potrebbe essere tanto da fare ma occorre avere una visione generale che vada anche oltre i singoli eventi. Altrimenti si finisce con piccoli dispetti e qualche paradosso (come la concomitanza, quest’anno di due ciclostoriche sullo stesso territorio e nello stesso giorno). Parlando di territorio, cultura, buona tavola e buon bere si può andare molto lontano. Non a caso questi sono gli ingredienti che hanno contribuito a fare grande l’Eroica. Meglio mettersi in scia, allora, che pedalare da soli.
Guido P. Rubino
Parole sante!
A distanza di un anno, il problema sembra rimasto identico (concordo su tutto).
Per lungo tempo ho simpatizzato con gli organizzatori di manifestazioni più “ruspanti”, ma oggi la scelta è davvero troppo varia. Occorre una selezione, che sia del movimento nel suo complesso.
A mio parere:
– premiare, per ogni regione, le ciclostoriche di più antica data, ma che diano garanzie sufficienti di qualità e anche di partecipazione. Si può avere un evento molto curato, ma se nelle ultime tre edizioni si hanno in media 100 partecipanti…
– premiare le realtà che offrono percorsi più lunghi: per molti basta anche il percorso da 65 km, per altri è bello sfidarsi sui 100, ma pure sui 150 km. È anche importante per chi vuole vivere gli eventi dal punto di vista più “sportivo” e meno “interpretativo”
– sollecitare forme di collaborazione anche con “alternanza” delle sedi: se ci sono due sedi di ciclostoriche nella stessa provincia, si può pensare a farne una negli anni pari e l’altra nei dispari, sotto lo stesso marchio? Sarebbe una alternativa ai “brevetti” regionali che tanta parte. a mio parere- hanno avuto nel proliferare di troppe ciclostoriche
– portare questi criteri anche dentro nel “gran giro” del Gide, dove a volte si è visto entrare ciclostoriche alla prima edizione (solo perché organizzate da tizio che è amico di caio e sempronio) e son rimaste fuori ciclostoriche apprezzabili