29 giu 2016 – La Mitica non è una ciclostorica qualunque. Come già il nome tiene a puntualizzare, pedalare sui colli di Fausto e Serse Coppi vuol dire inesorabilmente confrontarsi con un mito, anzi, con “il Mito” italiano del ciclismo. Scusate se è poco. La mia prima impressione sulla Mitica è stata innanzitutto questa, quella di una ciclostorica in cui tutti sono lì a pedalare con Coppi. Anzi, sono lì a far finta di essere Coppi. Anche se nessuno lo dice, perché i ciclisti son timidi, in fondo.
Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare un giorno di piena estate in collina. È il 26 giugno, la giornata è bellissima, sono le otto del mattino e fa caldo, molto caldo. Immaginate dei colli tondi, coperti di grano dorato e maturo e di filari di vite. Metteteci un bel cielo blu, con qualche nuvola soffice sospesa. Aggiungete un sole splendente, le rondini che sfrecciano e il frinire delle cicale in sottofondo. Adesso concentratevi sul profumo dell’aria, che sa di erba appena tagliata, di frutta matura e di terra. E poi metteteci duecentocinquanta matti con la maglia di lana, i barboni e i baffoni da veri pionieri del ciclismo e i tubolari incrociati sul petto, che sudano anche solo a respirare, ma hanno le facce estatiche di chi non vorrebbe essere altrove per nulla al mondo. E tra loro tante donne, tutte simpatiche e tutte bellissime nelle loro tenute vintage dai dettagli perfetti. Tutte tostissime, spesso ben più di molti bellimbusti.
Tutti pronti a cimentarsi su tre percorsi, per essere dei veri Mitici: il giro corto da 52 km (che sarà il mio), che con un dislivello di 840 metri e 3,6 km di strada bianca compie un anello da Castellania verso Cerreto Grue, Sarezzano, Volpedo, Tortona, Villaromagnano e Costa Vescovato, quello medio da 70 che allunga verso il Parco dello Scrivia con 11 km su strada bianca e un dislivello di 843 metri e infine quello lungo (anzi: lunghissimo!), che arriva fino a Novi Ligure e al Museo del Campionissimo, con i suoi 88 chilometri di cui 13 su strada bianca e con un dislivello si 885 metri. Roba forte.
Il via in discesa: pronti partenza via, una overture andante con brio di freni che stridono, di ruote che girano e di cambi che scattano, suonata all’unisono da tutte le bici.
A Cerreto Grue inizia la prima salita e sorge subito il sospetto che quella partenza in discesa fosse solo un grande bluff per vedere di nascosto l’effetto che fa e che quello che ci aspetta è ben altro.
La salita è sempre fatica e sofferenza, rumore di cambi e fiato corto, sudore che impregna le maglie di lana, che cola dalla fronte fino a far bruciare gli occhi. Ma salita è anche lentezza, liberare la testa, pedalare con i pensieri che vagano altrove per non pensare allo sforzo, vuol dire che dopo c’è la discesa con il vento sulla faccia, vuol dire arrivare in cima e lasciare vagare lo sguardo sulla pianura che si stende ai tuoi piedi, come se ne fossi un po’ il re.
La mia salita è una fatica bestia, ma anche una grande emozione, è guardare il ragazzino quattordicenne che pedala a fianco a me e immaginare al suo posto un giovanissimo Fausto Coppi che, garzone nella salumeria del signor Merlano a Novi Ligure, ogni domenica con in tasca la sua paga settimanale di 5 lire, torna in bicicletta dai genitori a Castellania e percorre le stesse strade che sto percorrendo io, che sta percorrendo questo ragazzino più o meno suo coetaneo, che guarda le sue stesse terre, gli stessi campi, lo stesso grano, le stesse vigne, lo stesso cielo, sognando una bicicletta nuova, la gloria o forse più semplicemente un piatto di agnolotti.
Il primo ristoro è a Volpedo, il paese natale del pittore Giuseppe Pellizza, che nel 1901 qui dipinse il celeberrimo “Quarto Stato”. Oggi, nella stessa piazza raffigurata nel quadro, non ci sono braccianti che avanzano verso il sol dell’avvenir, ma ciclisti affamati e assetati, in cerca di zuccheri e cibo, saziati dall’organizzazione con le famose pesche di Volpedo, gialle come questo disco infuocato che arde sulle nostre teste e non ci da tregua.
Ma vera prova del fuoco dei Mitici sarà “La Rampina”, una salita lunga 2,9 km, con un primo tratto di 700 metri che ha un dislivello di 63 metri ed una pendenza media del 9 per cento. I Mitici son tutti agguerriti e pronti, ma “La Rampina” sarà le nostre Termopili. Il Comune ha sversato pochi giorni prima moltissima ghiaia senza pressarla, le ruote affondano, i ciclisti imprecano e pigiano più forte ma a nulla valgono gli sforzi dei più ardimentosi e gli improperi dei più collerici. Kaputt, mi dice un partecipante tedesco, sconsolato. I Mitici, sotto il sole cocente del mezzogiorno e con i rivoli di sudore che scorrono a fiotti, si devono arrendere all’evidenza: si spinge. Sarà possibile risalire in sella solo poche centinaia di metri prima della cima, coi visi paonazzi per lo sforzo, madidi di sudore e in preda a visioni più o meno mistiche. E come una sorta di miraggio apparirà lassù quella che è forse la sorpresa più bella della giornata: il ristoro inaspettato, un po’ come “l’isola che non c’è” di Peter Pan, un tavolo imbandito tra le vigne con pesche, albicocche e Idrolitina (esiste ancora!) sciolta in acqua gelata, regalo ai ciclisti dell’istrionico Gianni Rossi e della sua bellissima famiglia, con tanto di striscione “ristoro” tirato tra i filari e una spruzzata di acqua freschissima con la pompa per il verderame. Un sogno, dopo tanto caldo patito dai Mitici bolliti. Grazie di esistere, Famiglia Rossi.
Non resta ora che un ultimo drammatico sforzo per giungere a Castellania, quegli ultimi 2 km con un dislivello 110 metri e una pendenza media 6 per cento, il sole allo zenit e trenta gradi almeno di temperatura che fanno dire a più di uno “non voglio mai più vedere una bicicletta, maledetta bicicletta”.
Che poi è ogni volta così.
Invece si stringono i denti, si dà fondo alle poche, pochissime energie, si sale piano piano, lenti ma inesorabili, invocando San Fausto che da lassù ci dia le forze e si arriva al traguardo, stanchi morti ma felici come bambini. E ci bastano le incitazioni di chi è già arrivato, le risate e le battute degli amici, il profumo dei ravioli per dirci che anche stavolta è stato bellissimo.
Benedetta bicicletta, evviva Fausto Coppi.
Coppi c’est moi.
Elena Borrone