13 ago 2016 – Un sesto posto (che poteva essere almeno un quarto, se non ci si fosse messa di mezzo un po’ di sfortuna) per una squadra che nemmeno avrebbe dovuto partecipare. Qualcuno era in vacanza, qualcun altro rifiniva la preparazione per altri impegni, le Olimpiadi erano una voce lontana e non solo perché dall’altra parte del mondo. Poi quell’sms di Villa, il preparatore della pista, appena saputa la notizia della non partecipazione della Russia nell’inseguimento su pista a squadre: “Hai pronto il passaporto?” e i nostri cinque Azzurri, riserva compresa, sono volati in Brasile col ruolo predestinato della squadra cenerentola, loro che manco avrebbero dovuto esserci. Invece si sono difesi con le unghie e con i denti a sparare tutto in quel catino di 250 metri che è la pista delle Olimpiadi. Hanno abbassato due volte il record italiano senza neanche una preparazione specifica e hanno perso pure qualcosa nel sorpasso ai Cinesi che gli è costato un momento di tensione e diversi centesimi a cronometro.
Probabilmente anche per questo nel finale sono calati un po’, ma che numero che han fatto!
E ora?
Pacche sulle spalle e si torna a casa. Con un po’ di soddisfazione in tasca, almeno quella.
Beh ho perso un rene, un fegato, un polmone e ho avuto mezzo infarto, ma ne é valsa la pena dai #Rio2016 #CyclingTrack domani altro giorno 🤓
— Filippo Ganna © (@GannaFilippo) August 11, 2016
Adesso però non sta più a loro. I nostri Azzurri hanno fatto il loro dovere oltre ogni aspettativa, adesso ci vuole la sponda organizzativa per andare oltre. E qui cadono le braccia.
Lo ha detto chiaramente Silvio Martinello, da ex pistard segue da vicino la sua passione, prima ancora che il suo lavoro: «I nostri ragazzi puntano a correre su strada – ha detto l’ex corridore, ora commentatore tecnico della Rai – perché è con quella che si guadagna. In Italia non c’è alcun vantaggio economico a correre su pista, avremmo avuto Guardini, già campione juniores, ma una volta passato con l’Astana si è dedicato alla strada anche lui. E allora ci vorrebbe un progetto serio da parte della Federazione, oppure dovrebbero puntare seriamente sulla pista i gruppi sportivi militari. Ma deve valerne la pena per un ragazzo con le potenzialità giuste».
Utopie purtroppo, e anche Martinello ne parlava con l’entusiasmo dei risultati appena intravisti, ma la consapevolezza della realtà dei fatti. In Italia, correre su pista, semplicemente, non vale la pena. Figuratevi se potrebbe mai esistere un Bradley Wiggins, pur nato sulla pista, che vince il Tour de France e poi decide di ritornare a correre in un palazzetto. Fantascienza.
Eppure, pur con un solo velodromo con attività di alto livello (Montichiari) ed altre briciole sparse per poca Italia (Fiorenzuola, Portogruaro, forse il rinato Vigorelli a Milano tra qualche tempo…) abbiamo già ottenuto risultati che in qualsiasi altro Paese giustificherebbero l’avvio di un programma serio della pista. Che, lo ricordiamo, è anche altamente spettacolare. E le fotografie che arrivano dalle poche prove su pista che si svolgono nei patri confini parlano anche di un bel po’ di pubblico. Quindi ne potrebbe valere la pena a tutti i livelli.
GR