15 giu 2018 – C’era una volta uno sport di strada chiamato ciclismo. Di strada perché era lo sport che passava davanti casa della gente, che arrivava a tutti e che permetteva a tutti di provarci. Uno sport “povero”, dove bastava avere una bicicletta e buone gambe per creare una leggenda come quella di Learco Guerra, a cui regalano una bici per partecipare alla Milano Sanremo e lui, muratore fino a quel momento, arriva fra i primi e conquista un contratto da ciclista professionista, andando anni dopo a vincere un Mondiale e ricordato, poi, nella storia del ciclismo come la “locomotiva umana”.
I tempi ovviamente cambiano e queste leggende di inizio secolo vengono quasi dimenticate. Ma il ciclismo rispetto ad altri sport mantiene per decenni questa sua anima “povera” che partiva dal basso, dalla strada. Certo una bella organizzazione alle spalle ha sempre giovato, in tutte le epoche. Ma la strada alla fine dava il suo responso.
L’evoluzione è cosa normale e i cambianti sono inevitabili e giusti, ma negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione notevole, molte cose sono cambiate e in molti si preoccupano del fatto che il ciclismo stia perdendo la sua anima.
L’ultima notizia (per ora solo una voce, ma piuttosto insistente) che destabilizza l’ambiente è l’abbandono di BMC come main sponsor dell’omonimo team. Team con un budget di ben 25 milioni d’euro all’anno. Cifre incredibili, quasi più da automobilismo o motociclismo che non da ciclismo. Lo sviluppo della faccenda lascia presupporre che lo squadrone BMC, perdendo la maggior parte del budget, sarà meno competitivo nel 2019. Siamo arrivati quindi a questo: una buona squadra non è più tale per bontà dei tecnici, qualità dei corridori il tutto miscelato con la gestione economica, ma il budget prende il sopravvento e decide a tavolino a inizio stagione quanto si può essere competitivi. E come non potrebbe essere così in un sistema che brucia centinaia di migliaia di euro?
Come siamo arrivati ad un ciclismo così costoso? Venti anni fa le squadre ricevevano come sponsorizzazione le biciclette e qualche decina di migliaia di euro dallo stesso produttore di bici. Con l’arrivo del ProTour, da un giorno all’altro, le cifre nei contratti sono di almeno un milione di euro. Uno zero in più, di colpo. Dove porterà questo vertiginoso aumento dei costi? In questo momento storico a nulla di buono: alcune squadre riescono a dettare legge alle gare, a discapito, a volte, dello spettacolo, grazie ai budget milionari di cui dispongono. Il caso Froome, che ancora sta pesando sull’intero Mondo del ciclismo, è la dimostrazione abbastanza evidente che un team di prima fila ha un peso, anche politico, differente nel ciclismo. Abbiamo visto che con la stessa sostanza positiva a un controllo altri corridori di team meno ricchi sono stati sospesi immediatamente. Ora, invece, c’è questo imbarazzo che non giova a nessuno.
E il futuro? BMC abbandona, come Cannondale, mentre Specialized ha ridotto gli investimenti. Vuol dire che i guadagni in termini di immagine, almeno per le case produttrici, non giustificano i costi. E quindi ricercheremo ancora gli sceicchi, i petrolieri, le banche. L’asse economico mondiale si è spostato a Oriente, e ciò vuol dire che questi sponsor proverranno sempre di più dall’Asia. Si corre il rischio che, se non abbattiamo i costi di questo ciclismo fra 20 anni avremo squadre asiatiche con atleti asiatici e con gare di prestigio in Asia. Con buona pace della storia del ciclismo.
E un po’ sta già accadendo
Stefano Boggia