7 apr 2020 – Nella situazione sociale che stordisce per i numeri della tragedia sanitaria mondiale si innesta la preoccupazione economica difficile in tutti i settori. Anche il ciclismo si guarda attorno spaurito. C’è preoccupazione per una stagione ferma neanche all’antipasto, con pietanze e contorni che si raffreddano. Un problema sportivo ma anche ecoomico per squadre professionistiche che sono fatte di immagine da vendere agli sponsor. Senza corse niente immagine. E gli sponsor, che pure iniziano a subire la situazione economica, rischiano di chiudere i rubinetti.
C’è addiruttura paura a parlarne, come a esorcizzare il pericolo nella speranza di una ripresa a breve, ma basta aprire i giornali per capire che “breve” è una parola troppo corta. Lo è per l’Italia, che forse sta vivendo finalmente una prospettiva di recupero, non lo è per altri paesi d’Europa o del mondo dove, al momento, la situazine sanitaria è ancora in caduta (quasi) libera.
Cosa può fare il ciclismo per non uscirne malconcio?
È vero, ha superato i momenti difficili di due guerre mondiali, a paragone questo momento sembra tutt’altra cosa, ma dal punto di vista economico la sutazione era diversa. Senza dire che, ai tempi dell’ultimo stop bellico le sponsorizzazioni ancora non esistevano, non come sono oggi almeno. Le squadre erano sostenute dai marchi di bicicletta, era anche logico che ripartissero appena il momento si fosse fatto opportuno.
Oggi gran parte degli sponsor sono extra settore, una fortuna per il ciclismo ma un disastro in questo momento dove si guarda agli investimenti con preoccupazione. Tanto più se escono soldi in un settore che ogni domenica perde un pezzo importante con una gara importante saltata.
Per chi investe e ragiona in termini economici la cosa peggiore che possa esserci, allora, è questo navigare a vista inseguendo promesse che si spostano di giorno in giorno.
Stanno arrivando al pettine dei nodi di cui si parla da tempo: squadre World Tour dimensionate per coprire eventi in continenti diversi contemporaneamente in cui si deve andare per regolamento prima che per prestigio. Squadre che, a loro volta, hanno tolto visibilità alle più piccole che ora soffrono più che mai: neanche le briciole da raccogliere con inviti alle gare che contano. E non resta nemmeno il calendario delle piccole corse, che a loro volta soffrono pure per quest’interesse spostato altrove. Organizzatori, indotto: tutti fermi. Tutti senza prospettive di guadagni a breve. Il rischio di mollare il colpo è concreto.
Serve un messaggio forte. Non dai team allora, ma di chi governa il ciclismo. Un messaggio di continuità che deve suonare come un “Signori, è un momento di difficoltà, stiamo soffrendo tutti, ma a prescindere dalla durata faremo in modo di non farvi perdere l’investimento e, anzi, farvi recuperare pure quel che ora è in perdita”. Insomma, in una parola: un messaggio di fiducia.
Certo, ci si dovrà venire incontro. Certo, bisogna ridimensionare le aspettative, d’altra parte una stagione ferma significa, almeno in parte, spese risparmiate.
Di sicuro il navigare a vista è la cosa peggiore che si possa fare senza un segnale di sostegno, anche a costo di rivedere i regolamenti. Altrimenti si rischia di andare avanti ognuno come può e poi trovarsi soffocati, senza più spazio di sopravvivenza e la spina staccata definitivamente perché il settore, economicamente, non vale l’impegno. Sarebbe disastroso.
E cercare di ignorare il problema è proprio quel navigare a vista pericolosissimo. D’altra parte si può raccontare quel che si vuole, ma chi investe i giornali li apre. Poi apre la cassa e la trova vuota. E trae le sue conclusioni.
Che fare allora?
Occorre dare una certezza a tutte le squadre. Una promessa di visibilità come nemmeno in tempi normali. A costo di far soffrire un po’ le grandi (che si spera possano avere un po’ di più le spalle coperte), ma cercando di tirare su tutti, dalle squadre World Tour alle Continental, magari con inviti che non avrebbero mai avuto, a costo di fare gare con meno corridori per team ma più squadre.
È solo un’idea, altre ne potranno arrivare, magari di più efficaci, ma imprescindibili dal concetto di “tutti insieme” e con una guida che deve farsi sentire, ché certi silenzi fanno la realtà più buia ancora.
E il ciclismo non deve dimenticare il suo ruolo “morale”, può tornare a essere una via di rinascita e di ottimismo, come è già stato dopo guerre e terremoti. Intanto può “investire” in altra visibilità. Quel che è successo al “Giro delle Fiandre Lockdown edition” è una briciola di visibilità che ha lanciato pure un’idea alternativa in questo momento e che potrà essere di contorno in futuro. È quella che qualcuno chiama “bikeconomy” e potrebbe, anzi, allargare il bacino di utenza.
Poi c’è la tutela delle categorie giovanili, i passaggi di categorie che rischiano di stritolare diversi ragazzi per questo stop. Qui la voce della nostra federazione deve andare a tono con quella dell’UCI perché si rischia di perdere un capitale umano importante che va tutelato. Le scelte devono essere condivise tra tutti.
L’importante è non smettere di pedalare, altrimenti si finisce col fermarsi. E non siamo certo in discesa.
Guido P. Rubino