18 ott 2018 – Sette anni fa, quando nacque la Granfondo Campagnolo Roma, la sfida degli organizzatori era stata quella di creare una Granfondo con lo spirito e la professionalità di un grande evento sportivo e non con quelli di una corsa di paese. Giunta alla settima edizione, la Granfondo Campagnolo Roma è diventata qualcosa di più: un evento internazionale che richiama ciclisti, appassionati e aziende da ogni parte d’Italia e del mondo.
È quello che si percepisce già mettendo piede nel villaggio allestito allo stadio delle Terme di Caracalla. Decine di stand ben curati di aziende locali e straniere di bici, accessori, tour operator specializzati in viaggi in bici. Ma soprattutto centinaia di turisti cicloamatori arrivati qui da ogni parte d’Italia e d’Europa. Si va per ritirare il pacco gara, e ci si ferma a lungo ad ammirare le bici della nuova collezione di una marca importante, a scegliere il casco per la prossima stagione, provare quella mantellina che tornerà utile nelle prossime settimane. Il villaggio della Granfondo somiglia a un bike expo internazionale, con la differenza che non siamo dentro il capannone di un moderno centro fieristico ma immersi nella Roma antica, sotto un sole meraviglioso attenuato dai pini romani.
E più passano gli anni, più la vocazione cosmopolita della Granfondo Campagnolo Roma diventa evidente: tra i cicloamatori e le loro famiglie che passeggiano nel villaggio si mescolano accenti veneti, siciliani, lingue nordiche, parlate latino-americane. L’atmosfera è festosa, rilassata, e invoglia a fare quattro chiacchiere.
Incontriamo un gruppo di signori che vengono da Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna: «Siamo in cinque. Era tanto tempo che non venivamo a Roma. Così, abbiamo preso la granfondo come scusa per attaccarci un weekend con le nostre mogli. Noi pedaliamo, le signore vanno in giro per la città, tanto ci metteremo un bel po’ di tempo a fare i 120 km. Li facciamo con calma, piano piano, al ritmo del più lento».
Più in là c’è un gruppo di ragazzi, alti e biondi, intenti a spalmarsi la crema solare mentre bevono una birra sotto il sole. Da dove venite? «Olanda. Per me è la seconda volta qui in Italia, ma i miei amici sono qui per la prima volta». Chiedo che impressione hanno avuto della città: «I can’t believe it! It’s summer here! – Non riesco a crederci, qui è piena estate! – Ieri siamo stati al lago di Bracciano, domani vedremo anche il lago di Albano, ma mi sa che sarà un po’ più faticoso». Mi chiedono di spiegargli come funziona la classifica, dico loro che solo i tratti in salita saranno cronometrati e il risultato finale sarà dato dalla somma dei tempi, senza bisogno di scapicollarsi in discesa o spingere a tutta tutto il tempo. «Bene – fa uno di loro agli altri, evidentemente meno allenato – così mi potete aspettare in cima senza rompermi le scatole».
Il colpo d’occhio alla partenza in via dei Fori Imperiali, con lo sfondo del Colosseo, all’alba, mette i brividi a me che sono di Roma; cerco di immaginare cosa possa provare chi lo vede per la prima volta. Lo si intuisce pochi minuti dopo, lungo il percorso nel centro storico, nelle bocche aperte e negli sguardi tutti rivolti all’insù.
Sulla via Appia mi affianca un gruppetto dall’accento del sud. Vengono da una città della Campania, lavorano in un’azienda che produce impianti industriali e fanno parte della squadra sportiva aziendale, nutrita e battagliera. Il titolare ha fornito divise, bici, viaggio e alloggio. E pedala lì insieme a loro. «Cerchiamo ti tenere alto qui a Roma il nome della ditta!», dice uno di loro, si mette in testa a menare e ciao ciao.
Lungo il percorso, nelle salite, quando la strada fa stare tutti in silenzio e le lingue non sono riconoscibili, leggi però i nomi stampati sui dorsali, e il gioco per far passare la fatica è indovinare la nazionalità dal nome. Jörgen e Bengt: saranno Svedesi? Danesi? William è facile: inglese. Igor sarà russo. Olaf tedesco per forza.
In un modo o nell’altro si arriva in cima, e alla fine della Papalina, la salita che porta al Castel Gandolfo, un po’ della fatica è ripagata dalla gioia e dall’orgoglio campanilistico di vedere tanti colleghi ciclisti stranieri non poter fare a meno di fermarsi ad ammirare il panorama sul lago di Albano. Il resto del percorso scorre via tutto così, in un clima internazionale, rallegrato dal chiasso festoso dei ciclisti filippini, tra i più simpatici e numerosi che abbiamo incontrato sul percorso.
L’atmosfera all’arrivo, poi, al pasta party o davanti a una birra, è davvero quella di una festa. Facce stanche ma felicissime, aiutate da una ottobrata romana con pochi precedenti. C’è da scommettere che chiunque, da qualunque posto provenga, sta già facendo un pensierino a tornare l’anno prossimo.
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Claudio Borgognoni