26 ott 2020 – Abbiamo visto un Giro d’Italia a due velocità. Una parte, più lenta, ha riguardato la sfida per la classifica finale. L’altra sfida, quella per le tappe, non è stata quasi mai banale ma, anzi, spesso avvincente e a tratti strepitosa. La lotta per la Maglia Rosa ha navigato per due settimane su una classifica definita, praticamente, nella prima cronometro. C’è voluta la terza settimana per farla diventare avvincente pur mancando, sulla carta, i campioni più titolati. Un Giro strano sin da subito, a cominciare dal periodo, ma anche nel suo svolgimento.
C’entrano sicuramente i ritiri importanti di pretendenti alla vittoria finale come Thomas e Yates, poi il ritiro della Jumbo Visma con Kruijswijk che poteva animare, anche lui, una bella sfida.
I corridori rimasti hanno preferito l’attesa. Abbiamo già detto come non ci siano stati attacchi degni di questo nome. Non parliamo di scatti sull’ultima salita, ormai troppo vicini al traguardo per pensare a una “tattica”, ma di una strategia concertata da lontano, dove si poteva sicuramente fare di più ma anche rischiare di più in termini di classifica. Ciclismo moderno che ha visto anche nel Giro d’Italia 2020 un vincitore che è anche il leader della classifica dei giovani e parla di un cambio generazionale che sembra aver messo il turbo.
Situazione cambiata solo nelle ultime tappe e anche per “merito” della tattica discutibile della Sunweb che se un giorno gli ha consegnato vittoria di tappa e maglia, nel finale a Milano ha portato Hindley e Kelderman a un secondo e terzo posto che brucia un po’. Certo, facile col senno di poi, ma rimane quello scatto rintuzzato da un compagno di squadra che è l’antitesi del ciclismo. E quello sì che poteva essere un attacco interessante quando la maglia rosa era ancora di Almeida.
Decisamente meglio è andato lo spettacolo delle tappe che, a conti fatti, ci hanno consegnato un Giro d’Italia divertente e appassionante anche se movimenti e tattiche erano in questo caso lontani dalla Classifica Generale.
La caduta di Geraint Thomas è stata la miccia per lo spettacolo della Ineos Grenadier. Non dovendo più stringersi attorno al capitano designato la squadra è stata “liberata” da ordini di scuderia e i corridori sono diventati tutti cacciatori di tappe. Non avremmo avuto la splendida cavalcata di Filippo Ganna a Camigliatello Silano, ma neanche, o comunque meno, quella dei suoi compagni di squadra.
Per non parlare di Peter Sagan che ha ripagato alla grande la scommessa degli organizzatori del Giro pur avendo vinto “solo” una tappa. Se ce ne fosse stato ancora bisogno (e sì, ce n’è bisogno sempre) ha dimostrato ancora una volta che il ciclismo può essere spettacolo anche se no si vince. Se poi lo si fa a modo suo, tanto meglio: di forza e tenacia. La squadra di Peter Sagan è stata l’unica, dopotutto, che si è dimostrata all’altezza anche nella tappa della vergogna, ribellatasi all’ammutinamento generale di cui poi si sono vergognati gli stessi partecipanti. Insomma, Sagan è l’amico simpatico che non deve mancare nelle feste.
Le volate, invece, hanno sancito la superiorità totale di Arnaud Demare. Aveva il treno giusto ma soprattutto le gambe per mettersi dietro tutti e l’ha fatto, sia vincendo d’un soffio che di un paio di bicicletta. Alla fine le quattro vittorie non lasciano scampo agli altri, peccato solo che abbia detto che voleva vincere anche nella tappa della protesta, quando la sua squadra si è guardata bene dal chiudere sulla fuga. A conti fatti gli conveniva così, ovviamente, ma poteva risparmiarci il rammarico.
Nell’entusiasmo delle tappe, oltre a Ganna, va messo per forza anche Diego Ulissi, due volte vincitore e unico italiano, oltre al campione del mondo della cronometro, ad aver messo il suo nome sul gradino più alto del podio. E, anche nel suo caso, non senza spettacolo. Il resto è vuoto e buio per gli italiani, ma non si può recriminare niente né a Nibali e tanto meno a un Pozzovivo che ha dato ben più di quanto ci si potesse aspettare. Per loro solo applausi.
Peccato per quella tappa azzoppata da una protesta sconclusionata che ha precluso la simpatia verso i corridori. Sì, ne sono usciti sconfitti tutti da quella giornata nera non solo di nuvoloni in cielo. I corridori hanno dimostrato di non avere polso (perché negare, quasi tutti, di non voler partire?). Il loro sindacato ha dimostrato un’inconsistenza imbarazzante che ne mette in discussione organizzazione ed esistenza. I direttori sportivi hanno fatto la parte degli autisti e basta: se non ne sapevano davvero nulla è gravissimo, chi gestisce i team e gli stessi sponsor gliene chiederanno conto. Gli organizzatori hanno mostrato debolezza, ma forse hanno deciso per la scelta meno dolorosa per tutti, cercando di salvare il salvabile che un muro contro muro, in quel momento e a quel punto, sarebbe stato ancora peggio. La Federazione Ciclistica Italiana è stata assente ingiustificata. Avrebbe dovuto interfacciarsi con la giuria, dire cosa fare (una cosa sola, in realtà). Preoccupa questo silenzio, anche a posteriori, sull’accaduto.
Il World Tour ha mostrato la debolezza con squadre spedite a correre ovunque e in corse per cui, evidentemente, non c’è alcun interesse e neanche cultura. L’essere “professionisti” nel senso letterale del termine dovrebbe garantire lo stesso impegno ovunque, ma non è così per tutti a quanto pare. E questo anche al netto di fatica e stanchezza mentale di cui questo Giro d’Italia è stato pieno.
Per fortuna che a Milano ci ha pensato Filippo Ganna a mettere tutti d’accordo. Il suo pianto liberatorio per l’emozione incontenibile dopo tanta fatica e sorprese, dall’alto della sua maglia iridata, ha trascinato tutti ad amare i corridori nel modo migliore: con i fatti. Ed è proprio per questo che il ciclismo, e ogni singolo corridore, merita di più in termini di rispetto da parte degli organizzatori ma anche da loro stessi e da chi li guida.
Viva il Giro d’Italia.
Guido P. Rubino
concordo.
un giro bellissimo e affascinante ben ripreso ma peggio, molto peggio, presentato e commentato. anche in periodo covid.
perfetto il commento sulla giornata della vergogna.
c’è da dire che anche ad altri livelli la competenza e la statura morale dei protagonisti risulta molto latitante