3 ago 2020 – Distanziamento è la parola d’ordine che ai corridori è stata imposta, inculcata, ordinata. Vale per i tifosi e anche per gli addetti ai lavori che non sono nella “bolla” delle corse.
Ecco, in questi giorni abbiamo avuto modo di “assaggiare” in prima persona cosa significhi fare parte di questa bolla o esserne al di fuori. Regole rigide cui occorre attenersi. Nessuna alternativa.
Abbiamo partecipato a un evento organizzato da Specialized per un numero selezionatio di giornalisti e di rivenditori per presentare la Tarmac SL7, l’ultima versione della bicicletta top di gamma della casa americana (che abbiamo provato in anteprima qui – cliccare), unico “diversivo” riuscito grazie alla collaborazione tra l’azienda americana (tramite la filiale italiana) e la Bora Hansgrohe che si è dimostrata particolarmente disponibile pur mettendo in chiaro le cose sin da subito.
Nel briefing tenuto da Gabriele Uboldi, marketing manager prima di Sagan e poi di tutta la squadra, la parola “distanziamento” è stata la più ripetuta. Sempre con la mascherina se si avvicinano i corridori, vietato toccarli (no, neanche col gomito) e vietatissimo toccare le loro biciclette. Vietato avvicinare anche i meccanici. D’altra parte le espressioni con cui guardano i pochi curiosi che si avvicinano sono chiare: sembrano le stesse di una tappa finale di un grande giro, ma qui non è la stanchezza a richiedere la lontananza.
Il ciclismo professionistico è nella sua bolla di sicurezza e va, giustamente, rispettato. Oltre alle continue sanificazioni, bici comprese, gli addetti della squadra, come tutto il team, sono sottoposti ogni tre giorni al tampone di controllo, non è una cosa piacevole e c’è voglia di rispettare le regole in maniera maniacale per scrollarsi di dosso quanto prima tutte queste scocciature.
Ai corridori è tassativamente vietato, quindi, qualsiasi contatto con i tifosi. Chi prova ad avvicinarsi viene inesorabilmente esortato ad allontanarsi e non se la prenda se è il corridore stesso a schizzare indietro: ne va della sicurezza e qualsiasi contatto in più potrebbe provocare uno stop più inopportuno che mai. Siamo stati nell’albergo del vincitore delle Strade Bianche, Van Aert. Il giorno prima del trionfo i corridori si muovevano in gruppo o alla spicciolata, guardandosi intorno per essere sicuri di non avere nessuno vicino. Niente foto e se proprio non si poteva dire di no, almeno a distanza.
Nella prima gara che conta, poi, c’era anche un po’ di tensione in più dovuta proprio alla novità, si spera che il clima si stemperi con il proseguire della stagione (e magari con l’arrivo di notizie confortanti sulla pandemia, cosa che a oggi purtroppo non sembra ancora vicina, anzi) perché vedere i corridori che temono così il pubblico non è bello per nessuno, non piace nemmeno a loro.
È il ciclismo della ripartenza, diverso e insolitamente lontano dai tifosi e che manca un po’ a tutti, come ci aveva raccontato Daniel Oss. Ma intanto è un ciclismo che riparte. Non ci resta che fare il tifo al meglio.
Guido P. Rubino