Abbiamo già parlato della Maratona dles Dolomites, (qui ci sono tutti i dettagli), i numeri e le informazioni che si vogliono sapere sulla più famosa delle granfondo internazionali. Ora raccontiamo cosa significa affrontare le più belle salite dolomitiche da principianti, da chi teme di confrontarsi con il Classico, o Sellaronda (mai chiamarlo Corto). Per un atleta allenato è una sgambata, ma per chi inizia i 55 chilometri, e soprattutto i 1.780 metri di dislivello (in quota), non sono un scherzo.
Se è la prima volta che ti prospetti il Sellaronda e non sei un ciclista esperto, naturalmente ti informi dai tuoi amici esperti, e le risposte si divideranno in due categorie: facendoti prefigurare uno scenario catastrofico; oppure idilliaco, quasi deludente. Nel primo ti immagini in crisi profonda in una salita da incubo, nella quale non puoi tornare indietro, né riesci ad andare avanti, visto che all’arrivo mancano trenta chilometri e non puoi certo farli tutti a piedi sulle tacchette. Piove, potrebbe nevicare. Il secondo rassicura ma dà poca soddisfazione (anzi, è demoralizzante): “E una passeggiata, l’anno scorso l’ho fatto con mia figlia di sei anni”. Impresa fattibile durante il Sellaronda Bike Day, in cui lo stesso percorso è chiuso al traffico motorizzato ed è facile, infatti, incontrare famiglie con tanto di pargoletti al seguito. Che pedalano senza troppo preoccuparsi della salita, dei chilometri, del cronometro. Come dovrebbero fare tutti quelli che affrontano la Maratona dles Dolomites, per non perdersi così il piacere di godersi in esclusiva il Patrimonio dell’UNESCO, una cosa molto preziosa.
No all’ansia
La Maratona dles Dolomites la puoi affrontare da atleta, sguardo dritto, presa bassa e pedalare, oppure da turista. Soluzione di gran lunga preferibile se non appartieni alla prima categoria, ma per nulla facile, perché siamo italiani, competitivi sempre, anche se ci mettiamo quattro ore e mezza a fare il Sellaronda, insomma lo stesso tempo in cui i primi finiscono il Maratona, cioè il Lungo (138 chilometri, 4230 metri di dislivello).
A ragionare te lo insegna proprio la Maratona, poiché se hai un allenamento medio/modesto finisci a pedalare — soluzione fortunata — nel plotone dei passisti, costituito al 50% da stranieri. Non sono in questa zona della classifica perché scarsi, ma perché hanno capito dove si trovano e si stanno godendo al massimo il posto più bello del mondo per il ciclismo. Lo capisci perché mentre tu tiri gli ultimi sospiri loro chiacchierano come se fossero seduti al tavolino del bar; quando questo succede scatta qualcosa nel cervello che ti apre gli occhi, e ti fa vedere ciò che prima era solo uno sfocato contorno: l’infinito paesaggio in cui sei immerso. E che ti stavi perdendo.
Il Classico, cioè il Sellaronda organizzato dalla Maratona, è il percorso perfetto per innamorarsi della bici. Si parte da La Villa, e dopo un rassicurante falsopiano fino a Corvara, che si percorre già in allegria e grande amicizia anche se sei arrivato in Alto Adige da solo, iniziano le salite. La prima è per il passo Campolongo, che aiuta a confrontarti con le Dolomiti con grande serenità. La pendenza media è giusta (6%) ma il profilo è vario, e questo ti permette di rodare le gambe, prendere fiducia nelle tue capacità quando la rampa si fa impegnativa, riprendere fiato quando allenta la morsa. Arrivi così al passo fiducioso, il primo attestato alla tua patente dolomitica non è una chimera, ti rilassi e ti godi la meritata discesa. Che dura qualche secondo; poi ti aspettano i nove chilometri della salita per il passo Pordoi, i tornanti del Sella e la sgambata finale del Gardena. Il divertimento è appena iniziato.
Il Pordoi
Con il Pordoi, la seconda salita della Maratona, si inizia a fare sul serio. Siamo ancora lontani dal peggio — tranquilli, c’è solo nel Lungo: è il Giau — ma questi nove chilometri quasi costanti al 7% iniziano a intaccare la tua riserva di glicogeno. È ancora presto per una bomba calorica, ma un rabbocco non sarebbe male, visto cosa c’è in programma. Questa salita ha di bello che non è estrema, quindi si fa voler bene, ma allo stesso tempo non ti molla mai, non c’è un tratto piano manco di dieci metri. La puoi affrontare di buon passo ma senza strafare, oppure spingendo forte, tanto poi c’è una discesa infinita in cui puoi (speri) di recuperare le energie.
Il consiglio è: falla tranquillo. Goditela. Tanto Strava dice che qua al Pordoi il più veloce è un certo Vincenzo Nibali, che ha impiegato 24 minuti e 28 secondi. E Tommaso Elettrico, il vincitore delle ultime due edizioni della Maratona dles Dolomites, ha spuntato un tempo di 28 minuti e 47 secondi. E che i primi mille ci mettono meno di 40 minuti per arrivare in cima. Questo per spiegare il livello delle prime file, e per farti capire una cosa: bene, dacci pure dentro quanto vuoi qualunque sia il tuo tempo, ma non perderti uno sguardo a valle, una fermata per scattare una foto, uno scambio di battute con i tuoi compagni di scalata.
Il Sella: la parte più dura
L’infinita discesa dal Pordoi congela le gambe, e se non hai l’accortezza di pedalare — anche a vuoto — i crampi sono garantiti. Il ristoro che c’è prima del Sella, poco dopo Pian de Schiavaneis, assicura una delle più belle immagini che si possano conservare della Maratona: la strada da fondo valle che punta al pauroso massiccio, che da quaggiù sembra inespugnabile.
Non è un’impressione del tutto fuori luogo. L’arrampicata al Sella, infatti, è la parte più dura del Sellaronda. Parere personale che non sembrerebbe però confortato dai numeri: sono poco più di cinque chilometri e mezzo con pendenza media del 7%, e fin qui hai fatto solo una trentina di chilometri, insomma sei appena uscito dall’hotel. Ci sono due ma: uno, hai già scalato più di 1700 metri; due, il profilo altimetrico è molto creativo, tanto che spesso devi arrampicarti su tratti del 9-10% abbondante. Questa combinazione di eventi influisce drammaticamente sulla velocità di ascesa. Almeno sulla mia, perché vedo (sempre su Strava) che il solito Nibali va su come un treno, idem Elettrico; la relatività dei numeri.
Fortunatamente dopo il rifornimento riparte bello carico di energie per la scalata, confortato dai sonori rintocchi dei campanacci da mucca agitati senza sosta dai ragazzi del luogo. Considerando che i primi sono passati già da un bel po’, anche la loro giornata è bella impegnativa.
Da questo versante i tornanti sono numerati a scalare, 8-7-6… e non sai dove guardare. Se volgi lo sguardo ai cartelli, i numeri sembrano non finire mai — ti aspetti un 3, arriva un 6 —; se guardi la montagna valuti troppo bene la tua performance; se alzi gli occhi al passo ti viene lo sconforto, è troppo in alto. Poi però arrivi alla meta, ed è bellissimo scorrere accanto al negozio di souvenir tirando un profondo sospiro soddisfazione; da lì in poi è tutta discesa.
È finita, finalmente: che peccato!
Dal Sella in poi non è tutta discesa nel senso fisico del termine ma lo è dal punto di vista mentale. Un po’ per la bellezza del paesaggio, che all’avvicinarsi al Gardena muta notevolmente e quindi ti distrae dalla fatica; un po’ perché la salita è divisa a metà da uno stupendo falsopiano (restano due trattini da 1,8 km circa l’uno, dai, cosa ci vuole), un po’ perché sai che ormai è fatta. Arrivi quindi al Gardena e sei euforico, la vista da lassù è spettacolare, d’ora in poi è sul serio tutta discesa, e questa volta ce l’hai fatta, ti pregusti l’arrivo a Corvara, la stretta di mano di Michil Costa (una giornata dura anche per il presidente della Maratona dles Dolomites, che si congratula con tutti ma davvero tutti i ciclisti che arrivano al traguardo), la medaglia, la birra del pasta party. Euforia che però dura un soffio, poi ti viene in mente una parola: finita. Amaro che si mescola al piacevole dolore alle gambe, e che ti assolve da uno sfidante-stimolante-scriteriato proposito: fare un altro giro. Non si può fare ma tanto non ce la potresti fare. Poi non importa, il prossimo anno nel mirino hai il Medio.
Aldo Ballerini
(fotografie di: Freddy Planinschek, Alex Moling e Aldo Ballerini)