11 ago 2016 – Mi rendo conto che a scriverlo qui è un po’ come andare a predicare il cristianesimo in chiesa, ma la storia di Fabian Cancellara è di quelle che travalicano lo sport dei pedali per diventare storie, belle, di sport in generale. E allora stamattina mi sarebbe piaciuto comprare il giornale, uno qualsiasi, e trovare una bella prima pagina, non certo con il titolone predominante, ma almeno una cosina in evidenza, un titolo di spalla, un trafiletto…
Invece i nostri giornalisti, quelli che curano le prime pagine (perché dentro, certo, qualcosa si dice, sfogliando bene e cercando) hanno pensato che sia meglio sempre e comunque parlare di calcio. Anche di quella squadra straniera che gioca in Italia che tanto il nome ce l’ha già anglofono, ma chissà come si dirà in cinese. Battute a parte, ho trovato persino un trafiletto che dà giustamente, ci mancherebbe, voce alla Cagnotto che si lamenta dell’acqua verde delle piscine dei tuffi. Problemi di filtri, pare.
Ma di Cancellara niente. Un capitolo, un’avventura che ha attraversato lo sport, oltre il ciclismo e ne ha fatto anche un personaggio. Quello che è riuscito a portare una disciplina piuttosto piatta (non solo in termini altimetrici) come la corsa contro il tempo, a diventare appassionante. L’ha trasformata in tattica oltre che in dimostrazione di forza bruta. Ha rivalutato anche i nostri grandi cronometristi. E non servirebbe neanche aggrapparsi alle origini italiane del suo cognome, lui, di Berna, che parla perfettamente italiano. E pazienza se chiamerà “natel” il cellulare.
E allora una bella foto gliela dedichiamo noi, quella d’apertura fatta sempre dall’ottimo Luca Bettini. Ritrae un campione, un uomo, con l’aria serena. Lo sguardo di chi è in pace col mondo.
Quando aveva vinto le Strade Bianche, a inizio stagione (altra corsa particolare e durissima, mica solo un cronoman) Cancellara aveva detto che quest’anno sarebbe stato così, senza grandi pretese: avrebbe raccolto quel che sarebbe venuto, magari per vincere una birra scommessa con i suoi amici. E gli avversari sapevano che quando un campione di questo calibro fa una dichiarazione del genere fa ancora più paura, perché mantiene intatta la sua forza e nulla potrà intaccarne la serenità. Cancellara era già a posto così, a inizio stagione. E guardate che ha fatto.
Che poi le storie appassionano, sono belle da leggere anche al di là della semplice cronaca e magari potrebbero sostituire i giornali di gossip e foto ridicole in mano alle signore sotto l’ombrellone. Una storia è una storia. Invece la battuta che fanno al bar, al massimo è: “chi, quello del motorino?”. Che significa non aver capito niente, da una parte e dall’altra della tastiera che scrive gli articoli.
Purtroppo l’unico spazio ritagliato in più, per chi ha fatto in tempo prima di andare in stampa, è stato per la vicenda Schwazer. Cronaca nera dello sport, che tira sempre. Salvo poi lamentarsi che c’è crisi di lettori. Che posano il giornale, o lo lasciano direttamente in edicola e vanno a farsi un tuffo.
Guido P. Rubino
Spero un giorno di incontrarlo a Gaiole, durante L’Eroica; gli chiederei un autografo su quella foto che gli feci da sotto una transenna sul Kwaremont, sdraiato per terra in mezzo alle gambe di decine di persone, al Fiandre del 2014; gli chiederei anche una foto insieme, gli stringerei la mano e gli direi “grazie”. Speriamo lo invitino.