31 mag 2016 – È successo il ciclismo. Così, quasi all’improvviso ci siamo ritrovati catapultati nel bello di questo sport e nel modo migliore. Non un ritorno all’antico, abbiamo visto molta tecnologia al Giro d’Italia, ve l’abbiamo anche raccontata sulle pagine di Cyclinside, ma sono svettati i corridori e la loro umanità, patrimonio del ciclismo a tutti i livelli, assieme ai tecnici dell’ammiraglia. Abbiamo ammirato, gioito, tifato, urlato, imprecato anche e poi pianto un po’ che non c’è mica da vergognarsi quando il gesto atletico diventa emozione.
Nibali: tattica perfetta di un corridore incredibile. E pensare che all’inizio di questo giro lo abbiamo pure criticato per quello scatto comandato dall’ammiraglia, andato a vuoto e pagato qualche secondo di ritardo. Quanto sembrano lontani oggi quei secondi. Anni luce ed ere geologiche. Ed eravamo solo in un’altra parte della Corsa Rosa a un paio di settimane da qui. Chi non lo avrebbe dato per perduto prima della rivoluzione? Siate onesti.
Il Giro, tirando la riga della somma, chiude decisamente in positivo per interesse e spettacolarità.
E alla fine chi ha vinto lo ha fatto da uomo oltre che da atleta. Ci piace pensare che Nibali abbia spento quella radio per ascoltare le sue gambe. Ad un tratto si è sincronizzato tutto per il corridore siciliano, anche l’ammiraglia comandata da uno stratega che ha saputo giocare col rischio di perdere e ha piazzato un uno-due micidiale nelle due ultime tappe di montagna. Kangert ad aspettare Nibali, la borraccia prima di raggiungere il gregario. Fosse stato un film lo avremmo criticato di inverosimiglianza. L’uomo che non molla e reagisce e vince di forza e astuzia. Poi la storia di Scarponi, il gregario gigante che si ferma per inchinarsi al suo capitano. Tutto in una tappa pazzesca.
Il ciclismo torna umano, chi ha parlato di watt in questi giorni? Semplice: non ce n’era bisogno perché era tutto lì, a vista e sotto al sole e alla pioggia. Non è servito cercare le differenze nei numeri. E sì che abbiamo visto pure arrivi a cronometro separati da centesimi.
Roba che neanche dopo tagliato il traguardo se si pensa ai genitori di Chaves, venuti apposta dalla Colombia per abbracciare il figlio con la sua prima Maglia Rosa. E invece abbracciano quello che arriva prima di lui sul traguardo e gliela sfila. E sono contenti davvero, potevano girarsi dall’altra parte e invece hanno cercato il giustiziere del figlio al quale hanno insegnato lo sport prima dell’agonismo. E lui che al giornalista un po’ imbarazzato e prudente a chiedergli della sconfitta fa un sorriso così e dice: “È solo una corsa in bicicletta, non sono queste le cose importanti della vita”.
Prendete e portate a casa.
Umanità che diventa scanzonata e così bella in Michele Scarponi: si ferma quando è davanti e aspetta il capitano. Al compagno di fuga una pacca sul sedere e prosegui da solo, che qui si va a vincere il Giro.
Poi Brambilla, Maglia Rosa delle prime tappe, ormai in crisi, che si fa gregario al compagno di squadra e tira finché può per tenerlo davanti e poi molla. E, ancora, tattico e furbo, mette nel sacco Moreno Moser per far vincere in maniera strepitosa l’altro compagno, Matteo Trentin in un finale degno di una Classica del Nord.
Avere qualcosa da raccontare ad ogni tappa è stato il punto chiave di bravura e fortuna di questo Giro d’Italia. Resta qualche ombra, ne abbiamo parlato nei giorni scorsi, che forse si ripercuoterà sulle prossime scelte dei percorsi pure, per evitare la fuga dei velocisti dopo le prime tappe. Se non li puoi trattenere per serietà professionale (brutto davvero iniziare una corsa a tappe sapendo già quando tornare a casa) almeno che rimangano per interesse.
Nelle pieghe di questo Giro d’Italia, poi, ci sono anche questi tedeschi che, praticamente hanno vinto tutte le tappe dedicate ai velocisti. E quando i velocisti non c’erano più si sono inventati la magia di Kluge e la fortuna di Arndt trovatosi al posto giusto al momento giusto nell’ultima tappa di Nizzolo vincitore poi retrocesso.
Un capitolo a parte merita Steven Kruijswijk. Non se lo aspettava nemmeno lui di andare così forte. Tanto meno il suo team partito con nessuno che potesse dargli una mano in salita, a parte l’onesto e sorprendente Enrico Battaglin. E la squadra non è mancata solo nei corridori. Nel momento cruciale, la salita dell’Agnello, nessuno gli ha passato una mantellina (come a Nibali) per non fargli fare la discesa nella nebbia, a cinque gradi, con la sola maglia rosa. Che scalda sì, ma non quanto sarebbe servito per non affrontare quella curva rigido come un baccalà. Unico errore pagato al massimo prezzo, di un Giro corso da imperatore, fino a quel momento. Un dominio quasi da risultare antipatico cui sono corrisposte determinazione e umanità commoventi quando si è trattato di resistere e non colare a picco. Ha conquistato più tifosi in discesa che in salita Kruijswijk. Ora vogliamo applaudirlo ancora.
Come all’appello aspettiamo Zakarin. Curve quadrate, coraggio e forza di un ragazzo considerato un predestinato.
Poi Ulissi, avete presente? Due tappe vinte da campione senza se e senza ma. E pensare che Argentin a inizio Giro si chiedeva se esistesse ancora Ulissi. La risposta di Diego sono state due vittorie proprio alla Argentin.
Tanti episodi che tornano alla mente scorrendo le foto, ormai in archivio di questa edizione. Tifosi composti e un po’ sguaiati, corridori che si divertono e prendono con filosofia la loro fatica. Tra tutti segnaliamo Adam Hansen che non ha vinto niente a questo Giro ma non fa mai mancare una nota simpatica. Dopo la birra bevuta da un tifoso nella scalata del Monte Grappa, un paio di anni fa, si è ripetuto. Nella cronoscalata all’Alpe di Siusi i tifosi lo aspettavano con birra e salsiccia. Stavolta ha ringraziato e lasciato la bottiglia di vetro (che non si potrebbe neanche prendere in corsa) e si è accontentato della salamella che ha infilato prontamente nel body per mangiarsela, con calma, quando il tempo massimo non lo avrebbe inseguito più. Un vero ciclista insomma. E non tanto per dire: continua a farsi gli scarpini da solo con fogli di fibra di carbonio. Un personaggio come tutti gli altri di questo Giro entusiasmante.
C’è materiale, insomma, per fare dell’edizione numero cento del Giro d’Italia un evento mondiale unico. E i corridori hanno insegnato a guardare la storia, ora c’è da solo da mettersi in scia ragionando con la testa giusta. Basta buttare la rete e tirare su la pesca grossa. Dai che si può fare!
E quelli che non c’erano? Peggio per loro. Questo Giro valeva la pena correrlo, anche solo per dire che si sono affrontati quei percorsi. Il Tour è meglio dicono. Non ne siamo affatto convinti. Viva il Giro.
Guido P. Rubino